Contributo del circolo Moro-Berlinguer 

06.02.2017

presentato all'assemblea dei circoli PD della zona Sud-Est milanese

Il circolo PD Moro- Berlinguer di Peschiera Borromeo, come crediamo moltissimi circoli di questa straordinaria comunità, prova un senso di disagio nei confronti di troppi comportamenti nei gruppi dirigenti nazionali che, con parole in libertà, evocano rotture, strappi, alzano oltre il tollerabile i toni della polemica, rendendo difficile la discussione all'interno del partito. Una discussione indispensabile, che deve esere serena e franca, ma che non può assumere le forme che sono state esternate in queste settimane. La sconfitta al Referendum costituzionale, che tanta parte aveva nel disegno di riforma e riorganizzazione del Paese, ha segnato la nostra comunità, e se non c'è nel nostro partito un'assunzione di responsabilità verso questo tentativo generoso e collettivo, cercando le strade per non disperdere quell'energia e quella speranza, a farne le spese non sarà questo o quel dirigente, ma la nostra Italia. Il PD resta l'unico baluardo organizzato che può contrastare un clima politico e culturale egemonizzato da una cultura populista che rischia di portare il Paese in un'avventura rischiosa ed autoritaria. Aver perso la sfida sulla modifica della Costituzione non significa rinunciare oggi ad assumersi la responsabilità di conquistare il consenso per guidare il Paese fuori dalla crisi, non solo economica. Per farlo occorre parlare al Paese e comprendere per quali ragioni la nostra proposta di riforma non è passata, perché più di una ragione ha originato questa sconfitta. Più che mai questa conservazione diffusa porta un segno chiaro, in particolare nelle regioni del sud. La proposta di modificare l'equilibrio tra regioni, stato centrale e la riforma della PA, è stato vissuto come un attacco al poco di spesa pubblica che fa da sussistenza ad un pezzo di società italiana che fa fatica ad emanciparsi e parallelamente segnala un nostro limite; non siamo stati capaci di indicare alternative convincenti al pezzo di società prigioniero della cultura e della condizione del dipendere esclusivamente dalla spesa pubblica. Il secondo punto di debolezza della nostra strategia ha riguardato il tema dell'immigrazione che abbiamo affrontato con coraggio, nell'indifferenza dell'Europa, con l'eccezione della Merkel, ma avremmo dovuto accompagnare la nostra generosità con provvedimenti più stringenti sia nei confronti dei paesi di origine, che nel governo del fenomeno. Le scelte di Minniti su questo argomento sono un buon segnale. La terza grande difficoltà che ha segnato la sconfitta del referendum riguarda il voto negativo dei giovani verso i quali i provvedimenti assunti sono stati importanti, ma non hanno avuto il tempo e l'articolazione necessaria per allargare in modo diffuso gli effetti positivi potenziali, che pur ci sono stati. Ultima ragione di una non piena comprensione del disegno riformista del PD in questi tre anni ha riguardato la strategia degli investimenti e del rilancio dello sviluppo. Se da un lato molti interventi infrastrutturali sono decollati ed altri storici si sono conclusi, come non ricordare la conclusione della Salerno-Reggio Calabria, si è giunti ad avviare il rilancio degli investimenti, con la proposta dell'industria 4.0 troppo in ritardo con una scarsa capacità di costruire attorno ad essa una narrazione convincente. Questi sono i limiti e a questi nodi occorre dare una risposta politica, non ideologica, non si tratta di tornare al passato, oggi è necessario dimostrare con una piattaforma credibile che la politica può rilanciare lo sviluppo del paese, che non sarà semplice, ma c'è chi, il PD, si vuole assumere la responsabilità di farlo. Questo chiediamo a Renzi ed ai gruppi dirigenti, una discussione di merito, senza riproporre vecchie ricette che ci facciano tornare indietro, perché proprio nei comportamenti del passato stanno le origini della crisi italiana e molti limiti sono nostri. Così come si deve ribadire con forza che i nostri gruppi dirigenti hanno la piena legittimazione di svolgere questo confronto, ed è inaccettabile che non tutti rispettino la regola elementare di una comunità come la nostra che è nei luoghi di direzione che ci si deve confrontare, non con interviste e comunicati ai giornali, senza magari aver contribuito al dibattito nelle sedi proprie. Analogamente, ci sembra difficile sostenere che si possa trascorrere il prossimo anno che ci separa dalle elezioni ritenendo che dopo la sconfitta del referendum non si debba dare la parola agli elettori, anche perché è di tutta evidenza che il governo attuale abbia un'intrinseca debolezza, e non potrà avere l'autorevolezza necessaria per affrontare una fase internazionale così complessa e densa di novità negative come quella che abbiamo di fronte. Il tema non è se andare a votare o meno, ma con che piattaforma credibile ci andiamo, di questo dovremmo occuparci rapidamente. Ma andare a votare a giugno significa anche affrontare la sfida elettorale contemporaneamente a due paesi strategici per il futuro dell'Europa, come Francia e Germania, quale contesto migliore per fare di questa sfida continentale al populismo, l'architrave di una tenuta delle forze democratiche. Se nel contesto europeo si può porre la sfida di un'Europa rilanciata e rinnovata, allora non si può perdere l'occasione di stare come sinistra dentro a questa sfida epocale, segnandone positivamente i temi del confronto e provando a determinarne il risultato. Di certo ci appaiono incomprensibili le motivazione dei vitalizi come argomento per andare al voto, ma un partito come il Pd non può avere paura del voto, non può chiudersi in vecchi rancori, deve resettare la propria narrazione sul futuro del paese, deve parlare ai cittadini, non dare la rappresentazione di una rissa continua, di una messa in discussione della soldarietà e responsabilità dei e tra i propri gruppi dirigenti. Consideriamo infine positivamente la campagna d'ascolto che il gruppo dirigente milanese ha posto in essere, e chiediamo anche che questo momento sia un'occasione per segnalare in modo forte ai gruppi dirigenti nazionali un disagio verso un clima da rissa intollerabile. E' solo attraverso la ripresa di dialogo con il paese che si può sconfiggere il populismo sia all'interno dell'Italia che in Europa.